ESTEMPORANEO 

A volte penso al luogo comune secondo il quale noi siamo di passaggio su questo mondo che si trasforma ma è sempre lo stesso. Lo stesso di milioni di anni fa, di un secolo fa, di ieri. Lo stesso che sarà tra uno o mille giorni. Un posto destinato ad essere casa del genere umano e di tutti gli altri che vi dimorano. Un posto che ha visto trasformare sé stesso in funzione delle trasformazioni di chi lo abita. Per esempio, un giorno passo in un luogo e noto un trattore che ara la terra, oppure il mare che si infrange sugli scogli. È la stessa cosa che ha visto qualcun altro prima di me e che vedrà ancora qualcun altro dopo di me. Cambiano i protagonisti, ma la storia e la scenografia sono sempre le stesse. Noi siamo gli attori, che si avvicendano su questo palco chiamato mondo. E si sa, gli attori sono egocentrici e presuntuosi e quindi pensano di essere i padroni del mondo. Infatti ne fanno ciò che vogliono. Il risultato però è che gli attori vanno e vengono e la loro presunzione si rinnova ad ogni passaggio. Il mondo invece è sempre lo stesso palcoscenico per tutti. E le assi cominciano a scricchiolare, il sipario a strapparsi, le luci ad affievolirsi. Il regista resta lì a guardare, stanco, il copione sulle ginocchia, la fotografia che cambia da set a set. E con essa l’attore, che è la star, ma solo per un giorno. Il giorno di gloria che dura una vita. Poi quella finisce e ce n’è subito un’altra a seguire. C’ero io ieri a guardare quel trattore, domani ci sarà un altro. Tra cent’anni ci sarà forse un altro trattore e cento attori saranno nel frattempo transitati sullo stesso palcoscenico. Senza lasciare il segno, perché il segno è il mondo che c’è sempre stato e che sarà sempre ed ancora lì ad accogliere nuove star, presuntuose ma effimere. Ben ci sta. 

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