LA STORIA CHE NON SMETTE DI RIPETERSI


L’articolo che ho letto oggi è dell’ottobre dell’83. È tratto da un libro che raccoglie i principali contributi dell’autore al giornalismo italiano. In esso si racconta di una grande manifestazione pacifista tenutasi a Roma in quei giorni. Più di cinquecentomila persone parteciparono, una marea umana convenuta nella capitale in un momento storico denso di tensioni internazionali, ma anche intestine. In questo enorme numero di persone, confluirono quelli che allora rappresentavano svariati movimenti popolari, per quanto diversi altri risultarono assenti. Cosa che non passò inosservata ed il cui risultato fu quello di acquire quelle spaccature che tutt’oggi determinano lo squilibrio sociale e la mancanza di una vera identità unitaria, caratteristiche del nostro paese. A motivo di quella manifestazione, la pace. Una chimera a livello mondiale, da secoli invocata a gran voce dall’umanità, ma che per ragioni ben note, malcelate da un manto di palese ipocrisia, è sempre stata bistrattata e confinata a metafora, a fantasia. Allora, la manifestazione sfilava sotto l’ambasciata americana al grido di “yankee go home” e “Italia fuori dalla NATO”, accusando la potenza a stelle e strisce di un imperialismo che andava (e va) ben oltre il suo mero significato intrinseco. Mentre sotto l’ambasciata sovietica, solo una minoranza di autonomi accusava l’altro grande polo del potere mondiale di aver mietuto impietosamente vittime in molti dei vari paesi satelliti o confinanti. Per lo meno così recitava l’articolo. Recitava che la gente invocava la pace nella realizzazione del disarmo, un’utopia del tutto assoluta, che avrebbe reso sì il mondo un posto migliore, privando però le cosiddette superpotenze del loro giocattolo preferito, le armi e del loro passatempo più diffuso, quello di scambiarsele a suon di denaro sonante e sangue innocente. Quindi idea improponibile. Quel disarmo che, se mai si fosse realizzato, in un momento qualunque del nostro passato più o meno recente, avrebbe impedito il costante ripetersi nel tempo di quei conflitti bellici che sembrano scandire l’assodata volontà della nostra specie ad involversi fino all’estinzione. È la storia che si ripete, con beffarda ironia, negli stessi slogan che aleggiano ancora oggi, che non smette di imitare sé stessa, prendendo corpo nei suoi autori e attori, che sono gli uomini che la creano, vivendola. Oggi che proprio come allora le guerre continuano ad imperversare. Oggi più di allora, grazie alla comunicazione che si è evoluta, essa sì, alla portata di tutti, condividendo certi ideali che facilmente soffocano il respiro delicato di un mondo senza armi. Così che assistere, inermi ma morbosamente interessati, a genocidi e massacri che si alternano nei notiziari alle informazioni sul meteo ed alle sfilate di pret-a-porter non scandalizza più di un cane che sporca il marciapiede. Oggi come è più di allora, la gente viene scacciata dalle proprie case e lì massacrata se vuole restarci. Senza capirne il perché. Perché un “perché” non c’è. La ragazza ucraina, da anni trapiantata in Italia, racconta di una situazione nel suo paese che si è incancrenita nel conflitto solo negli ultimi tempi. Racconta di giovani uomini che il senso della pace lo posseggono eccome e vorrebbero fuggire da quella follia fratricida. Racconta che non possono farlo, perché non gli è permesso, costringendo sé stessi a vivere come fuggiaschi in casa propria, per evitare di andare a morire senza un senso. Ed anche se non abbiamo racconti diretti, siamo certi che lo stesso accada in quella parte di Medio Oriente che deflagra ogni giorno e che decima una popolazione esausta, o ciò che ne resta. Ed anche di questo veniamo a conoscenza grazie e quella comunicazione evoluta. Evoluta al punto di sapere di non dover arrivare però in quegli altri innumerevoli teatri di guerra, dove a migliaia muoiono tra l’indifferenza e l’ignoranza di un occidente già assuefatto alla finta indignazione da quel che gli viene propinato con dosate propagande quotidiane. Perché dove non è permesso arrivare per divulgare, giungono solo coloro che possono farlo, per continuare indisturbati il loro secolare commercio di morte e disperazione, mantenendo così salde nelle mani le leve del potere. Quelle che determinano la vita e la morte. Oggi come allora e come sempre. 

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