“Ü L’HA CARREGOÜ U PICCARDU!”
Ero piccolo, forse non avevo nemmeno dieci anni. Avevamo trascorso una giornata presso il santuario della Guardia, sul monte Figogna, ottocento metri a picco sopra la città di Genova. Eravamo un bel gruppo, di parenti, un’auto per nucleo familiare, chi coi nonni annessi, chi no. E si vede che -io non ricordo come sia andata- un tale Piccardo sia stato un incontro casuale della giornata da parte dei nostri vecchi. E si vede che questo signor Piccardo non avesse di che scendere dalla vetta, se non le proprie già provate gambe di anzianotto, perché, appena ripartita la nostra carovana per tornare a casa, mio padre ad un certo punto si ferma, accorgendosi che manca un’auto. Allora scende e guarda indietro, finché non arriva la Cinquecento di Gianfranco, il cugino di mia mamma, che si era tardato ad invitare il signor Piccardo a tornare al livello del mare con la loro auto. Da qui l’esclamazione di mio padre, rivolta al resto del gruppo, che dà il titolo a questo post. E che è rimasta scalfita nella mia mente come se l’avessi sentita ieri. Un unico ricordo nitido di una giornata particolare, perché forse alla Guardia c’eravamo andati tutti insieme per qualche motivo e non solo per condividere gli esagerati preparati siciliani, nelle salette allestite sotto i portici del sagrato, riservate al pranzo al sacco dei pellegrini. Un ricordo che si staglia tra i pochi significativi che della mia infanzia mi porto nel cuore, senza lo sforzo di dover spremere la memoria. Perché sono momenti fatti apposta per entrarci dentro, nel cuore, perché è così che un ricordo nasce, per caso. A distanza di decenni torno ancora oggi al santuario, un posto mistico che non posso non associare a quel ricordo, di quel misterioso signor Piccardo che fu in grado, solo trovandosi lì in quel momento, di dare una spiegazione senza parlare al perché della vita, di creare un legame indissolubile con la vita stessa. La sua, la nostra… Oggi la giornata è splendida, tiepida in maniera anomala per un primo di novembre, limpida fin quasi alla Francia, come lanciarsi da questo trampolino naturale verso occidente. Perché basta voltarsi e godere a perdita d’occhio di tutte le cime dell’Appennino come fossero disegnate sulla sabbia di una spiaggia dove ci si è rotolati sopra. In una giornata come questa, particolare come quella di tanto tempo fà, calato in un silenzio confortante che favorisce la riflessione, anche visitando le sale degli ex-voto, momenti disegnati e scolpiti nella memoria di qualcun altro, condivisi con la curiosità anche di chi non ci crede, tra le tante cose penso anche che quel signor Piccardo forse è ancora qui che si aggira, in forma d’aria o di pensiero, che forse non è mai sceso dalla Cinquecento di Gianfranco, guardando dal finestrino ad uno ad uno coloro che salgono al santuario, chi con un motivo per farlo che diventa preghiera, chi solo per godersi la bella giornata e mangiare bene ad uno dei rinomati ristoranti del piazzale. E pensare a lui mi aiuta a ricordare che bene o male siamo tutti un signor Piccardo, o che prima o poi lo saremo, destinati a rappresentare un segno per qualcuno, senza volerlo e senza che quel qualcuno lo abbia voluto.

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