Non c’è motivo per sperare che l’anno nuovo sia migliore di quello che se ne va. La storia farà il suo solito corso, come ha sempre fatto fino ad oggi, costellato di notizie buone e di notizie cattive, dove le cattive soverchieranno quelle buone, per gravità e mestizia. Perché allora augurarci un buon anno? Perché il buon anno dobbiamo farcelo noi, ognuno per sé stesso. Ognuno di noi sa cosa è bene e cosa è male, per sé ma soprattutto per chi ci sta intorno, per chi interagisce con noi tutti i giorni, per chi intralcia il nostro passo verso l’apice o per chi ci tende una mano quando siamo ad un passo dal baratro. Perché è il bene del prossimo che reca il bene a noi. Se saremo capaci di fare il bene del prossimo, l’effetto strabiliante sarà quello di vedercelo riflesso. Ed aver augurato buon anno acquisirà improvvisamente un senso. Fare il bene per sé stessi e basta? Certamente, un tornaconto ce l’ha anche quello. Nessuno è precluso dal godere delle proprie capacità e possibilità, che restituiscono il premio dell’impegno profuso, alla ricerca del successo e del profitto. Per quanto, vivere isolati nella propria torre di cristallo, precluda piuttosto la benevola tentazione di provare l’effetto che fa condividere le proprie soddisfazioni con qualcun altro, con il bene di qualcun altro. La libertà è rincorrere il proprio benessere ed è giusto che ognuno lo faccia secondo le sue convinzioni. Per vivere un buon anno e per realizzare ciò che, ognuno in cuor proprio, considera essere il modo migliore per farlo. Per andare avanti tra le solite mille difficoltà, cercando di renderle meno difficili, almeno per una volta. Come il vecchietto che ripone la sua fiducia solo nel bastone, per superare il gradino innanzi.
(Photo credit: Davide B)

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