DIFFIDARE DELLE APPARENZE
Rossella era nata in un paesino sulle colline, dove la gente viveva di agricoltura e allevamento. Ma a Rossella piaceva studiare e, dopo le scuole medie, i genitori la iscrissero alle superiori, che distavano quasi un’ora di corriera dal paesino, giù in pianura. Rossella frequentava una classe dove lei era l’unica che veniva da fuori città. Nella fattispecie, per i compagni, lei veniva “dalla montagna”. Così consideravano le distanti colline gli originari della pianura, elemento che bastò a Rossella per essere etichettata come “montanara”. “Ma invece non c’era nessun distinguo tra noi, l’unica differenza poteva essere al massimo l’abbigliamento invernale, che per noi che stavamo in collina era più pesante, perché da noi faceva molto più freddo che in pianura”. E siccome non si trattava di un espressione di apprezzamento, bensì tutt’altro, non era raro che taluni “montanari” venissero bersagliati dalle angherie di certi bulli locali. Ce n’era uno in particolare, nella classe di Rossella, che aveva scelto proprio lei come vittima predestinata dei suoi dispetti e dei suoi sfottò. Senza aver tuttavia fatto i conti col carattere tenace e per nulla arrendevole di Rossella, quei non poco trascurabili dettagli che il bullo scoprì più tardi a sue spese. Rossella aveva buoni voti a scuola e la lingua francese era la materia in cui eccelleva. Il bullo, che invece vi stentava, le fece intendere che non sarebbe stato contento se, alla verifica di quella materia, non lo avesse fatto copiare, lasciando intendere una minaccia neanche tanto velata. Rossella, che avendo da tempo inquadrato il tipo e che era stufa di dover subire le sue stupide pretese, intuì che quella era l’occasione buona per fargliele pagare tutte e soprattutto per mettervi fine. L’idea, in effetti geniale, fu quella di far copiare al tipo gli esercizi svolti in maniera completamente errata, mentre lei stilava i suoi a parte, secondo la sua preparazione. Alla lezione successiva, l’insegnante consegnò i risultati coi voti e Rossella onorò la sua reputazione ottenendo un bel 10. Tronfio di ciò che sarebbe stato il suo altrettanto brillante risultato, il bulletto attese il suo turno con un mezzo sorriso sul volto, ostentando quella improbabile espressione autoritaria da grand’uomo che non era, un po’ come il Beef di “Ritorno al futuro”. Al quale, come accadde al personaggio del film, il sorriso beffardo e la sicurezza del bullo, si spensero con un colpo improvviso e inatteso. “Ti ho dato 2 per non darti zero”, gli disse l’insegnante. Il bulletto strabuzzò gli occhi incredulo, guardò l’insegnante, poi il votaccio sul foglio e si girò per tornare al suo posto, con la coda tra le gambe. Solo allora si volse verso Rossella, il cui sguardo valse più di mille parole ed il bulletto lo capì al volo gemendo, non seppe mai nemmeno lui se per la vergogna, o per il repentino crollo del suo piedistallo di cartapesta. “E da quel giorno non mi fece e non mi disse più niente”.
Questo post è dedicato all’amica L. protagonista della storia, che ha condiviso con noi in un freddo pomeriggio di fine dicembre, riscaldandoci animo ed umore.

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