FORSE NON CHIARISSIMO....
Sfogliare una rivista del Novembre 2002 conservata in perfette condizioni, come fosse uscita in edicola oggi, arreca anche sensazioni estranee al piacere della semplice lettura. In un articolo sulla espansione demografica correlata a quella delle megalopoli, si legge di previsioni catastrofiche per il 2015 (un po’ in contraddizione con quella crisi delle nascite che caratterizza ormai da decenni il nostro paese, per quanto la previsione fosse a livello globale). Si leggono poi articoli sul terrorismo e sulle armi di distruzione di massa, redatti quando il mondo era ancora sotto lo shock per l’attacco alle Torri Gemelle di poco più di un anno prima. A distanza di quasi un quarto di secolo, quello che quindi colpisce di più non è tanto il contenuto della rivista fine a sé stesso, quanto realizzare che in questo ampio lasso di tempo non è cambiato praticamente niente. Se non che le riviste non le compra quasi più nessuno e che ciò non fà differenza (se non per chi di mestiere fa -o faceva- l’edicolante). Perché fortunatamente la divulgazione non si è interrotta, ma si è solo adeguta a quella evoluzione tecnologica caratteristica nel bene e nel male della nostra era. Il tempo passa e va, inesorabile ma perché così è e per contro il nostro mondo resta fermo al palo. Il trascorrere del tempo incede e scandisce la vita che scorre come corrente. Tra le vicissitudini personali e quelle della società in cui l'esistenza di ogni individuo è calata per snodarsi attraverso le insidie (tante) ed le certezze (poche) che questa esperienza riserva. E' per me come l'insistere di un tarlo il pensiero di quanto il trascorrere del tempo interferisca con l'evoluzione della esistenza, mia e delle persone con cui interagisco, a qualsiasi titolo, scandendone i minuti con incedere perentorio, scoprendomi non di rado in una dimensione di indesiderata irrequietudine. Perché invece sarebbe così piacevole e rassicurante vivere ogni attimo, non come fine a sé stesso, ma come parte di un insieme di momenti senza tempo. Senza che, se pur involontariamente, ci si debba voltare indietro a ricordare, o a cercare di farlo, per constatare con amarezza che tutto ciò che è stato non potrà più essere. Per quanto possa essere caro il ricordo infatti, essendo tale e non potendo più ripetersi, il velo di tristezza dietro il quale si configura è ineluttabile. Tutto ciò che è stato fatto, detto, vissuto, non vissuto, perso o guadagnato, alla fine rappresenterà la sommatoria di un percorso, che l'individuo comincia ad affrontare senza garanzie, venendo al mondo e che a seconda degli atteggiamenti consoni ad ogni singolo momento, potrà completare più o meno distante nel tempo. Così che quando comincerà ad intravvedere il traguardo, poco distante, avrà modo di riassumersi in una riflessione dolce e amara, ancora guardando indietro nell'irrefrenabile desiderio di tornarci, reso ancor più arduo da sopportare dalla consapevolezza di non poterlo fare. Il percorso di una esistenza quindi, che può essere motivo di orgoglio e di soddisfazione, oppure no, anche solo una presa di coscienza che tutto ciò che è stato non tornerà. E che la risultanza di quel qualcosa che è andato non esattamente come si voleva, è compensata da quel pieno senso di conscia accettazione, del quale nel frattempo si è fatto scorta. Per affrontare l’ultimo ostacolo con la leggerezza che si confà a chi alla fine non ha più niente da chiedere, perché gli basta girarsi indietro.
(photo credit: Salvo)

Commenti
Posta un commento