L’UNICO ERRORE DA CUI NON SI IMPARERÀ MAI NULLA
“Niente di nuovo sul fronte occidentale” è considerato uno dei primi classici del XX secolo, uno dei primi manifesti contro la guerra, uno dei primi documenti che riporta l’orrore dello scontro bellico, nella sua sconvolgente dimensione di diario di una vita contaminata dal germe del conflitto. Alle immagini sconvolgenti descritte senza lesinare i particolari più agghiaccianti, nel delirio della loro crudeltà, che solo chi c’era e chi ha visto e vissuto il macello della prima linea poteva testimoniare, l’autore associa il travaglio di uno stato mentale che giocoforza trasforma giovinetti armati di ideali puri e belle speranze in belve senza scrupoli. E presto senza più nulla in cui credere, se non sopravvivere. Per coloro che riusciranno a tornare a casa, le conseguenze saranno ben più nefaste, in quanto accompagneranno per sempre quelle esistenze col tormento dei ricordi di quei giorni tremendi. Chi pensava che scrivere libri e formulare appelli alla pace da parte di chi la guerra l’ha vissuta veramente nella sua forma peggiore, ancorché non ve ne siano altre, sarebbe bastato prima o poi ad interrompere quella spirale di autodistruzione di cui l’umanità sembra essere permeata, deve prendere atto invece che farsi la guerra per l’umanità sembra essere appunto una necessità. Perché sbagliare non è servito a nulla, se non peggiorare se possibile il suo lato peggiore. Con un tragico e sistematico ripetersi di circostanze attraverso le quali chi comanda il mondo decide di mandare periodicamente a morire la propria gente, a far morire intere popolazioni spesso inermi, ad ignorare del tutto sofferenza e disperazione cui milioni di individui in tutto il pianeta vengono loro malgrado sottoposti, per quanto assurdo la guerra è tutt’oggi un elemento emblematico della società mondiale, una componente senza la quale la società mondiale sembra non poter andare avanti. E per andare avanti, ogni tanto qualcuno decide quindi che è tornato il momento di attaccare, di uccidere, di annientare. Poco importa se a scomparire sono anime innocenti che non hanno il benché minimo ruolo in questa storia allucinante, se non quello della comparsa che presto andrà a rimpinguare i tristi cumuli di cadaveri, come fossero i pallottolieri dei mostri belligeranti che contano i punti persi o guadagnati dalla loro calda e confortevole stanza dei bottoni. Nonostante queste atrocità siano palesi e drammaticamente reali, la gente, specie quella inconsapevole ed inerme, continua a morire. I soldati continuano ad ammazzarsi l’uno l’altro, anche quando, incontrandosi a fil di baionetta, si guardano negli occhi e, prima di infilzarsi, si raccontano in un attimo quanto sarebbe più giusto e meraviglioso gettare le armi a terra ed abbracciarsi. A colpire non è tanto la tragicità di quel che sta accadendo a Gaza, così come in molte altre parti del mondo, ma tutto ciò che viene indotto ad essere molto peggiore per la mancanza di attenzione e di partecipazione da parte di chi sta in poltrona a guardare un popolo massacrarne un altro come se stesse guardando un film. Non è ciò che si sa per sentito dire o che si legge sui libri a rincarare la dose di una meritata vergogna nell’animo da parte di chi osserva, quanto l’assoluta immobilità nel non fare nulla per evitarlo. Nonostante secoli di lezioni, l’umanità non imparerà mai a smettere si decimarsi, ma ha imparato molto bene l’arte dell’ipocrisia, l’atteggiamento di chi può permettersi di puntare il dito senza nemmeno partecipare.

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