Torna d'attualità l'argomento del fine vita. La vicenda di Laura riaccende il dibattito, torna a scuotere le coscienze, a mettere il pubblico nuovamente di fronte a scelte ed opinioni, per alcuni molto chiare e dirette, per altri contraddittorie. Nella migliore delle ipotesi è come attraversare un campo minato, perché il rischio di inciampare sulla spoletta di un parere impopolare o comunque avverso al proprio è altissimo. Il primo rischio lo corro io, che da credente sintetizzo la vita come un dono di Dio, per cui disfarsene volontariamente rappresenta un sacrilegio. Ma l’intelletto che mi caratterizza quale essere umano rigetta l’idea che vivere una vita in sofferenza fisica debba essere un dogma da rispettare a tutti i costi. D’altronde, se Gesù guariva gli storpi e dava la vista ai ciechi, forse anche lui aveva coscienza di quanto dolore possa causare vivere privi delle normali capacità motorie e sensoriali ? Poi ci sono altri pareri coi quali confrontarsi. Qualcuno dice "non ho potuto scegliere dove nascere, ma posso scegliere dove e come morire". Altri dicono "come io non decido di nascere, non voglio nemmeno decidere di morire". Sono pareri appunto, punti di vista, opposti, contrastanti, comunque tutti degni di rispetto. Che in ogni caso nessuno potrà mai permettersi di giudicare, né come tali, tantomeno come pensiero altrui. La libertà è in primis quello stato mentale che ci permette di scegliere. Scegliere è la possibilità che ci viene concessa dalla libertà di optare su cosa e come essere. Non è possibile sostituirsi a chi decide di porre fine alla propria sofferenza senza vivere la stessa esperienza. Ma si può cercare di comprendere che se qualcuno arriva a prendere questa decisione pur amando la vita, significa che la sofferenza è soffocante al punto che scegliere di abbandonare la vita è la conseguenza non solo più logica ma anche più naturale. Non è possibile definire se è giusto o sbagliato, non è possibile ergersi a giudici, finché immobilizzati su un letto o su una poltrona non si è portati a decidere di scegliere. Forse solo lo stretto contatto con chi sceglie potrebbe aiutare a comprenderlo. Ed a sostegno di questa ipotesi corrono le parole del marito di Laura, che non odorano affatto di retorica, ma profumano di amore. Quello stesso amore che chi soffre prova per la vita, al punto di risparmiare alla vita una inaccettabile dimensione di sofferenza. Non si può restare indifferenti d'innanzi a questo (dal Corriere della Sera): «Le ho detto “vai amore, sei libera”. Lei ha risposto “ciao amore, ciao vita”. Poi sono uscito dalla stanza nel momento esatto in cui ha cominciato l’autoinfusione. Mi sono messo in disparte, come ha voluto lei, per evitare di condizionarla dal punto di vista emotivo. Prima che uscissi mi ha chiesto “vuoi che rimanga ancora un po’?”. “No”, ho risposto io, ma non nel senso che non volevo, nel senso di “sentiti libera”. Lei ha capito. E si è sentita libera di andare». Quando è rientrato in stanza tutto era compiuto. «Ho guardato il flussimetro, ho visto che non c’erano più segni di vita e sono scoppiato a piangere a dirotto. Un pianto vero, tosto. Ho realizzato che non mi era mai capitato. Avevo pianto sempre soltanto la notte, sommessamente, senza farmi mai sentire o vedere da lei. Stavolta ho lasciato che le lacrime andassero dove volevano; un pianto liberatorio». Il campo minato sembra essere invalicabile, in una società che non riesce a rendere moralmente lecita la libertà di scelta. A tutti noi la responsabilità di rispettare la decisione estrema, al di là di ogni opinione. Che non potrà mai essere nemmeno alla pari di quella di chi sceglie di non soffrire più.
ATTENZIONE: CAMPO MINATO!

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