VOGLIATEVI BENE
Come mio padre, genovese doc, anche io ho sposato una donna originaria del Sud. E come mio padre e come me, questa sarà forse la scelta che anche i miei figli faranno. E quindi -forse- la storia si ripeterà, andando avanti sul medesimo canovaccio, mantenendo legami che suggellano unioni universali, se pur entro i patri confini, perdurando scelte di cuore che sposano e rafforzano il concetto di integrazione, del quale umilmente ci sentiamo parte, solo vivendo. In tale contesto, come è successo a mio padre con mia madre, ciò ha implicato il mio totale coinvolgimento nelle tradizioni delle origini di mia moglie, ivi compresa l'acquisizione di una certa familiarità con il dialetto locale. In particolare, il lessico del suo è caratterizzato da espressioni metaforiche, o idiomatiche, o proverbiali, o anche improbabili, che una volta spiegate a chi non le padroneggia, risultano più che esaurienti, anzi lapalissiane al limite del disarmante. Il che fanno di tale dialetto una fonte inesauribile di ispirazione per modi di dire o espressioni dal piglio definitivo e nondimeno inattaccabile per concludere una conversazione, piuttosto che sentenziare senza appello discussioni più o meno accese. Non starò qui ad elencare tutti questi esempi, perché la mia intenzione adesso è un'altra. Vi è una di queste espressioni che da sempre mi fa spuntare un sorriso, ogni qual volta mi ci imbatto, specie quando viene rivolta a me o ai miei cari. Si tratta dell'esortazione a volersi bene, quel "Vogliatevi bene!" che esclamato in dialetto assume il carattere di irresistibile spinta vitale, perentoria carica per la ricerca costante del senso della vita. Apparentemente banale, l'augurio è depositario invece di una potenza senza eguali, quella dell'amore che lega le persone. Un invito puro nella sua semplicità a cercare sempre ciò che è essenziale e necessario, senza fronzoli né salti mortali. Perché volersi bene non è in realtà una cosa banale o scontata. Volersi bene è oltremodo impegnativo, in quanto suggella la solidità di un rapporto. Mica cotiche. E non solo se si riferisce a chi riceve l'augurio, ma in un certo modo anche a chi lo trasmette. Posso affermare questo oggi con assoluta certezza e senza tema di smentita, perché, dopo che per anni ho sorriso ricevendo tale augurio, ironizzandoci pure un po' su tra me e me, ora anche io sono uso augurarlo e la sensazione nuova che mi persuade è che ne sento il beneficio anche così. Significa che, augurando di volersi bene alle persone cui tengo e cui indirizzo questo augurio, io per primo miglioro il mio essere, profittando del loro volersi bene. Detta così sembra un po' cervellotica, ma alla fine non lo è. "Vogliatevi bene" è uno sprone cui ricorrere quando la difficoltà di mantenere l’impegno viene meno. È in quel momento che bisogna riscoprire la reciprocità del sentimento. Senza indugio e con la fiducia che in esso si è sempre riposta, scientemente o spontaneamente. E quindi poi torno sempre al medesimo mio modo di vedere la vita, al cui centro c'è sempre e soltanto l'amore. Non mi interessa passare per un illuso romanticone, personaggio fuori luogo sul palcoscenico di un mondo aspro come quello che viviamo: io ci credo. L'ho già evidenziato in altri post e lo ribadisco qui: i Beatles ci avevano visto giusto con "All you need is love", tutto quel che serve è amore. Nient'altro, aggiungo io.
Condivido il tuo pensiero sia sul dialetto,dalle metafore fulminanti per la loro semplice e definitiva chiarezza,che sulla bellezza del concetto di "vogliatevi bene"...fa bene augurarlo perché è come gettare un piccolo seme:qualcosa nasce sempre,o quasi.
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