Dipingono Galleria Mazzini come il “salotto buono” della città. Significa che è un luogo elegante e raffinato, la cui luminosità, naturale ed artificiale insieme e l’esclusivo transito pedonale, gli conferiscono un effetto di quiete e piacevolezza, ove chiunque può rifugiarsi dalla frenesia e dal rumore di un caotico centro città, pur restandone a diretto contatto. Contornati da botteghe raffinate, alcune storiche, alcune eleganti, da portoni antichi che introducono ad uffici prestigiosi ed ad abitazioni lussuose e aristocratiche. In questa galleria, al cui rifugio anche io ricorro di tanto in tanto per sentirmi in pace, dimorava in bella vista un negozio antico, che era già lì da molto prima che io nascessi e che recava un nome che era più che un invito. Era il richiamo magico per i bambini che volevano continuare a credere nella fantasia delle favole. Si chiamava infatti e non a caso “La fata dei bambini” e vendeva giocattoli. Tanti, tutti, di ogni tipo e foggia, per ogni esigenza e per ogni passione. Come molte botteghe storiche della città, anch’essa l’anno scorso ha dovuto chiudere per sempre i suoi battenti, portando via con sé ricordi ed emozioni di tante generazioni di ex bambini, ma anche di ex giovani papà. Per me, che facevo parte di entrambe le categorie, questa chiusura è stata molto più dolorosa di altre, perché dentro quel negozio vi entravo anche quando non dovevo comprare alcun giocattolo ed anche da solo, quando i miei figli orami erano troppo grandi per esserci accompagnati, alla ricerca di un tesoro. Mi fermavo davanti alla le vetrine per ricordarmi di essere stato bambino e della fortuna che ho avuto nell’aver vissuto un’infanzia che comprendeva anche luoghi come quello. Ma con una somma gioia, proprio ieri passandoci per caso, la tristezza di quelle saracinesche chiuse per sempre è stata rimpiazzata, trovandole aperte su vetrine illuminate di una nuova rivendita di libri. Mantenendo così su di me il fascino ed il richiamo di un posto magico, che mentre lo era per i giocattoli da bambino e da giovane papà, oggi lo è in egual misura per i libri. Luoghi dove entrare come si entra nella grotta di Alì Babà, per perdersi in un tempo senza lancette, a vagare tra fantasia e immaginazione, senza pensieri né assilli. E questo grazie anche al gestore, probabilmente invitato dai proprietari dei muri, o dal Comune, o da chissà chi, a mantenere intatta la vecchia insegna, a memoria di un pezzo di Genova che fu e che non si vuole e non si può dimenticare. Come quelle vecchie stazioni delle metrò di Londra o di Parigi, la cui antica architettura è stata mantenuta, a fronte di innovazioni tecnologiche che ben vi si intersecano, rendendo il cittadino al contempo orgoglioso e soddisfatto. O forse è stata un’idea del gestore stesso e allora vale doppio. Perché così ha saputo attirare e mantenere l’attenzione e la curiosità di quelli che come me amano certi luoghi, quelli del cuore. E che per questo in quei luoghi ci torneranno sempre, anche senza averne realmente bisogno.
TU CHIAMALE, SE VUOI…. Suggestione e cordoglio. Commozione e trasporto. Sensazioni che si rincorrono. La magia che si ripete. Ho ascoltato la storia del grande Bach che volle imparare l’armonia italiana da Vivaldi. Ho assaporato la passione di Giuseppe -che era Peppiniello e che ora è un professionista- per il cantautorato italiano, capace di coinvolgere anche uno meno avvezzo come me. Allora si consolida la consapevolezza di come l’Italia sia veramente quella culla di culture che va oltre il luogo comune, culture che spaziano nei secoli e nei generi, lasciando che chiunque in giro per il mondo ne assapori a proprio piacimento. In questi ultimi giorni, il nostro centro del mondo è stato il villaggio semi sconosciuto adagiato su una collinetta dauna, dove melodie barocche e pop rock si sono fuse idealmente, alternandosi nei momenti topici della settimana più calda dell’anno. In tutti i sensi. Una ricchezza offerta gratuitamente, ove l’impegno infaticabile ed ammirevole dei pochi ha riem...

Commenti
Posta un commento